Wednesday, May 7, 2014

La vedova d’un uomo vivo

(Shyrec/ Ribéss/ Travelling Music/ Boring Machines, 2009) 



Elena dalle candide braccia
Cantimplora
Intorno a una donna dai molti mariti
Ancora una parola
Il campo ha occhi, la foresta orecchi
Tu m’hai detto
Un uomo perduto
Jacques
Lungo la strada

Morose: Davide Landini, Valerio Sartori, Pier Giorgio Storti
con la partecipazione di: Marco Monica, Joan Loizeau, Jennifer Oakley
registrato nel 2008 da Edoardo Savoldi presso Muzak Studio

"Passerà del tempo prima di riprendersi dallo choc che l'ascolto di quest'opera, prima dei Morose in italiano, comporta all'orecchio dell'atarassico non più abituato, se lo è mai stato, alla vertigine dell'attesa. La coproduzione tra alcune piccole imprese del bon ton italico insieme ai francesi di Travelling Music ha il potere di far finalmente risorgere un Lazzaro chiamato Morose, fenomeni con “People have ceased to ask me about you” e appena offuscati nel monotòno “On the back of each day”, che rischiavano di lasciare incompiuta e inedita una pietra fondamentale per la propria carriera e chissà, per la canzone colta di questo Paese. Lugubre e dark come l'ultimo Father Murphy, “La vedova d'un uomo vivo” è un concept che si dipana in modo che nessuna traccia possa dirsi aliena alle altre, protagonista Elena dalle candide braccia e dai molti mariti: in esso nessuna foce è nella catarsi o nel fuoco, assoluta la sobrietà di composizione con l'enfasi lasciata al narratore Davide “Saranza”. Il trio spezzino fa subito strike con il lungo drone semimobile che avvia l'annuncio dell'apocalisse, acquietandosi con corde glabre e piacevole sensazione di essere dentro la storia; Cantimplora avvince alle parole “i veri amori sono quelli finiti” come una elegia dei Black Heart Procession, a precedere un vento di voci, La Piovra in un castello diroccato. Al rifornimento numero quttro le stimmate del capolavoro: Ancora una parola sta fra i migliori passi di sempre per i Morose, impercettibili cori 70 sullo sfondo di un vascello alla deriva senza preoccupazione, l'amore esce dalle casse in un gorgo di veleno. E' chiaro con Theresa che ci si trova in un film, ma non di Dario Argento (troppo stereotipato): l'interpretazione teatral-modugnesca del Saranza sfida il no-jazz sensibile agli slowmovies. Un uomo perduto è lentissima, nello stile degli ultimi Morose anglofoni e di Boduf Songs fino al controcanto, capace poi di sciogliere le catene che sigillano le esequie Lungo la strada. Avrei solo potuto spereare che dato lavoro uscisse così" (8).
Blow Up n.131 (Aprile 2009)

“Lo abbiamo dovuto attendere per ben tre anni questo quarto album degli spezzini Morose ma una cosa, visti i risultati, è sicura: ne è valsa la pena. Nato dallo sforzo congiunto di tre etichette italiane ed una francese (Travelling Music), La Vedova Di Un Uomo Vivo fa fare il decisivo salto di qualità al trio formato da Davide Landini, Valerio Sartori e Pier Giorgio Storti, e non solo perchè questo è il loro primo e già convincente CD in italiano. Sorta di concept album, con le tracce in qualche modo inestricabilmente legate l'una alle altre in un indivisibile abbraccio attorno alla storia di Elena, donna dalle “candide braccia e dai molti mariti”, come precisano un paio di titoli, il disco ha la capacità di farci sprofondare in un universo plumbeo e scurissimo, in cui le parole, il cantato vagamente teatrale e le bellissime musiche, ondeggiano vibranti come una processione diretta verso un baratro ineluttabile. Arrangiamenti calibratissimi e grande senso degli spazi sonori sono una vera costante in queste nove, lunghe canzoni: l'intrecciarsi di chitarre acustiche ed elettriche, piano, tromba, violoncello, qualche percussione sparuta, cori dà vita ad affreschi cangianti ed evocativi, che fanno tesoro della lezione di artisti imprescindibili come Black Heart Procession. Current 93, Matt Elliot. Lasciano poco spazio alla luce le parole e le musiche qui contenute, e l'unica a brillare è quella della più profonda bellezza; lo dimostrano brani come Cantimplora, una ballata a dir poco straordinaria come Ancora una parola, le allucinazioni fantasmatiche di Il campo ha occhi, la foresta orecchi, i rimandi alla poesia di Andrè Breoton e Louis Aragon, la bella confezione arricchita dai dipinti di Jenny Jo Oakley. Tutte testimonianze di un lavoro studiato, sentito, da non sottovalutare e da non lasciarsi sfuggire.”
Buscadero n.313 (Giugno 2009)

Al trio spezzino Morose, esordito una decina d’anni fa con un folk lo-fi che si è fatto via via più cupo e introspettivo, non ha nociuto il passaggio alla nostra lingua, dopo tre album in inglese. I testi di spessore “letterario” - qui con citazioni da Strindberg, Breton e Aragon - ne guadagnano difatti in genuinità e immediatezza. I brani, pur denunciando ascolti di Current 93 e altri cantori dark-apocalittici, riescono poi a distillare una personale canzone d’autore “esistenzialista” che è tutto fuorché banalmente sepolcrale. Valerio Sartori e Pier Grigio Storti (più alcuni ospiti, tra cui Jenny Jo Oakley di Empty Vessel Music) supportano con misura e concentrazione l’intensa declamazione di Davide Landini, in lirici arrangiamenti cameristici che offrono più di un passaggio di impressionante, solenne e austera bellezza.” (7)
Rumore (Giugno 2009)

“La vedova d’un uomo vivo” è la quarta prova per i Morose, che così aprono una strada nuova per loro, ovvero il cantato dall’inglese passa all’italiano. Non posso negare di non aver apprezzato i ragazzi di Sarzana anche per i dischi precedenti, ma l’italiano ha dato loro una movenza sublime. Il timbro forte e sicuro di Davide Landini diventa un magma di poesia che solleva prima gli spiriti assieme a Valerio Sartori e Pier Grigio Storti e poi li cosparge di parole mai scontate, raccontando storie ma anche visioni, immaginazioni, speranze che l’amore perduto per sempre torni sotto forma di sognanti occhi che finalmente sono per lui per poi fargli sollevare i ponti levatoi perché lei è arrivata, parafrasando “Intorno a una donna dai molti mariti”. Questo disco è pieno d’amore, e quindi strugge. Quando non riuscite a lasciare andare lei e quello che bramate è “Ancora una parola” prima di non vederla più e si susseguono i ricordi, o il ritratto di un uomo: “Un uomo perduto” dove la ripetizione delle stesse frasi sembra sbattere contro una roccia la testa e sanguinare sempre di più, per rimarcare il dolore. “Il campo ha occhi, la foresta orecchi” è nel cuore del disco e qui si erge l’anima oscura del gruppo, che s’insinua in territori terrificanti che fanno gelare la pelle e si spinge tra vocalizzi amplificati, spettri tra le dita delle chitarre e voci sussurrate, quando la voce di Davide arriva accompagnata da un movimento svelto del pianoforte e dalla tromba, e di colpo scende la notte. “
Fuori dal Mucchio

“Ispirati dal drammaturgo August Strindberg, i Morose, di cui non ho capito se il nome sia un gioco di parole tra il significato dialettale morose (fidanzate) o l'anglicismo contratto di ''more rose'', muovono i primi passi negli anni '90, sospinti, e ispirati, dai secoli addietro, mescolando con disinvoltura la chincaglieria passata e il moderno presente. Dopo sette album in inglese - anche se, secondo la band di La Spezia ufficialmente sono solo tre - approdano alla lingua nostrana. Il trio, composto da Davine Landini (voce e chitarra classica),Valerio Sartori (chitarra elettrica, cori, tromba, clarinetto, glockenspiel, piano), Pier Grigio Storti (piano, violoncello, chitarra elettrica, clarinetto, campionamenti, cetra), porta il folk lo-fi degli esordi ad una evoluzione stilistica senza difetti, senza compromessi, lasciando spazio ad una creatività ben centellinata. Nel 2009, con ''La vedova di un uomo vivo'' i Morose cedono alla tentazione della lingua italiana non cadendo nel trabocchetto del facile ritornello mainstream. Devastanti. Scuri. Profondi. Nelle nove tracce, prolissamente sublimi, del nuovo album sprizza la voglia di non avere voglia: analisi del quotidiano vivere, allibito dalla faccia grottesca indossata, ancora una volta, dalla società e da noi stessi. L'ottavo, o quarto album, dei Morose, è un romanzo con le note al posto delle lettere, prodotto con il cuore. ''La Vedova d'un uomo vivo'' contiene orchestrazioni ad hoc e non sguaiate, riferimenti letterari (Breton, Aragon, Pirandello, Strindberg, Rigaut), collaborazioni di Marco Monica degli In My Room (laptop nella sesta canzone), Joan Loizeau degli YeePee (letture nelle quarta e sesta canzone), Jenny Jo Oakley, autrice, con un suo dipinto, della copertina (voce e fisarmonica nella quarta, sesta e ottava canzone). Non è un album allegro, c'è ne fin troppa in giro, intendo di allegria finta. Questo è un capolavoro meditativo dei nostri giorni: riflette e fa riflettere. Tutto ciò che abbiamo non è forse ciò che non vorremmo avere? (Dr.Matteo Preabianca) “
Music Map

“ Three dei Black Heart Procession esce nel duemila. Quando viene pubblicato On The Back Of Each Day (Suiteside, 2006), personalissimo trattato dei Morose su certo folk decadente alla maniera della band di Pall Jenkins e Tobias Nathaniel, di anni ne sono passati sei da quella data. Troppi per sfruttare il momento buono di certe cadenze. Aggiungete una promozione non all'altezza per un disco che invece avrebbe meritato ben altra sorte e capirete per quale motivo la metà di voi non sa nemmeno di chi stiamo parlando in questa recensione. 
Poco male, verrebbe da dire. Visto e considerato che c'è La vedova d'un uomo vivo a ricordarci chi sono Davide Landini, Valerio Sartori e Pier Giorgio Storti. Un disco cantato questa volta in italiano ma che nella sostanza non cambia di molto l'approccio del gruppo rispetto al passato. Confermando invece l'albero genealogico delle musiche – all'elenco dei progenitori aggiungete Current 93 ma anche il Nick Cave di The Carny per Il campo ha occhi, la foresta orecchi – e la statura artistica dei Nostri. Tra i pregi, oltre all'onirismo affascinante e alle citazioni letterarie sparse tra lentezze inesorabili e suoni dalla vaghezza inquietante, la capacità di trasformare una svolta epocale - il cambio di idioma di cui si diceva – in un passaggio per nulla traumatico. Anteposti ai pochi difetti, riassumibili nel ricorso a un immaginario “romantico” che talvolta vive di compiacimento misto ad autoflagellazione. Niente, comunque, che influisca sulla qualità finale di questo quarto episodio a nome Morose, che è e rimane opera originale e di spessore.
(7.2/10)”
SentireAscoltare

“Gli orfani dei primi La Cruz potranno finalmente trovare dei degni sostituti nella nuova incarnazione degli spezzini Morose. Dopo tre album di “folk sgangherato” è arrivato il tempo per Davide Landini, Valerio Sartori e Pier Giorgio Storti di registrare un disco cantato in italiano. Sempre collegato con un doppio filo rosso a quella tradizione oscura che unisce silenziosamente Black Heart Procession, Current 93 e Labradford. Questi i gusti musicali dei diretti interessati che sanno plasmare la materia sonora in canzoni profonde ed ammalianti. Come “tu m'hai detto”, dove aitutano anche Jenny Jo Oakley (Empty Vessel Music) alla voce e fisarmonica e Marco Monica (In My Room) al laptop, mentre Joan Lizeau legge un poesia di Andrè Breton” (7).
Rockerilla (Giugno 2009)

“Le canzoni dei Morose sono stranianti. Ti rapiscono, ti succhiano tutta l'energia che hai e poi ti restituiscono alla realtà quotidiana come se nulla fosse... Ma in cuore tuo, lo sai che ti hanno fatto male, come facevano male le canzoni di Ciampi, De Andrè, e Sergio Endrigo.”
La Repubblica delle donne

“Gli spezini Morose, in giro da più di dieci anni, con “La vedova di un uomo vivo” pubblicano il loro primo lavoro in italiano, il quarto in totale. A parte l’idioma, il trio ligure ha cambiato ben poco per quanto riguarda lo stile, dato che insiste con un folk lo-fi accostabile ai primi Black Heart Procession . 
Il ritmo è assolutamente rallentato, le ambientazioni melanconiche e tristi ed il sound è estremamente desolato e lirico. 
I riferimenti alla tradizione italiana sono molti, ma altrettanta è la loro capacità di creare uno stile personale, tuttavia in Intorno a una donna dai molti mariti, la voce del cantante ricorda quella del Federico Fiumani più etereo ed il brano incede molto lentamente, guidato inizialmente da una sola chitarra e poi in progressione entrano gli altri strumenti, in evidenza i fiati nei quali si miscelano riferimenti tanto ai La Crus, quanto a Vinicio Capossela. La voglia di sperimentare dei Morose è tanta, quindi nel Il campo ha occhi, la foresta orecchi il trio ci porta negli inquietanti abissi della nostra psiche, accompagnati da accenni di jazz sperimentale. 
Questo è un disco complesso e di non facile approccio, ma intrigante e con moltissime risorse.”
Kathodic

“Dopo tre anni di assenza discografica da "On the back of each day" la band di La Spezia torna con un nuovo disco questa volta cantato interamente in italiano. Le sonorità non si sono scostate di molto dai precedenti lavori, rincorrendo stili variegati ma che abbracciano come leit motiv quello della malinconia più cupa. Basta ascoltare "Ancora una parola" per capire che le intenzioni della band sono sempre orientate verso scenari plumbei che ricordano i brani più oscuri di Nick Cave ma anche il folk può oscuro dei Black Heart Procession. 
"La vedova d'un uomo vivo" già dal titolo mette l'ascoltatore sulla strada cimiteriale più desolata, accompagnandolo in un viaggio fatto di nenie sepolcrali ben scritte e suonate tra il folk di "Jacques" alle orchestrazioni di "Elena dalle candide braccia". Un disco che abbraccia una quiete quasi irreale e che segna una nuova perla nella carriera dei Morose, evidenziando una crescita stilistica rafforzata dalla scelta controcorrente dell'impiego della lingua italiana.”
KdCobain

“Quanti colori può avere la poesia in musica?
Difficile dirlo, anche perché unire queste due forme artistiche non è semplice e spesso si abusa parlando di dischi e di musicisti di questa unione, ma nel caso dell’ultimo lavoro dei Morose è indispensabile parlare di poesia in musica. Una poesia dalle tonalità di grigio, dai colori foschi e dai toni malinconici, ma arricchita nelle canzoni da una venatura epica e da scelte melodiche altissime, capaci di scendere negli abissi della disperazione quanto di salire ad ariosi mantra come quello che chiude la prima traccia Elena dalle candide braccia, momenti di maggior respiro che mantengono però il tono sepolcrale dal retrogusto antico che caratterizza l’intero disco.
“La vedova di un uomo vivo” segna un punto di svolta per il gruppo spezino, non solo per quanto riguarda le liriche per la prima volta in italiano. Questo disco infatti riesce a dare una forma unitaria a quanto i Morose avevano già detto con i loro lavori precedenti, anche grazie alla scelta di comporre un concept album. Le costruzioni musicali si abbracciano con delicatezza ed eleganza, riuscendo così a non cadere mai in secondo piano rispetto alle parole delle canzoni, e nonostante l’assenza di una sezione ritmica riescono a scorrere con una notevole dinamicità e versatilità tra i brani del disco sfruttando l’uso di più strumenti che ben combaciano con le strutture folk di chitarre e pianoforte arrivando così a una entusiasmante forma orchestrale.
I Morose riescono quindi con “La vedova di un uomo vivo” a comporre un disco dai toni foschi e cupi senza mai tediare l’ascoltatore grazie a testi splendidi e a atmosfere sonore mai banali, un’opera completa e precisa il cui ascolto è meraviglia. “
Sandzine

“In molti li hanno accostati ai Black Heart Procession, ai Calexico più cupi e introspettivi, o addirittura a Nick Cave. Ascoltando questo lavoro dei Morose si ha effettivamente la sensazione di ascoltare dei discepoli di questi tre artisti. Eppure. Eppure il disco in questione, ‘La vedova d’un uomo vivo’ è un disco che, considerando il panorama rock italiano, ha senz’altro un grande punto di forza dalla sua: l’essere un disco unico nel suo genere. Raramente ho sentito un lavoro così suggestivo, curato nelle atmosfere, evocativo come questo dei Morose. Se è vero che il gruppo di La Spezia può ricordare l’una o l’altra band d’oltreoceano, gli si deve però anche riconoscere l’enorme sforzo di aver prodotto un lavoro che difficilmente ci si sarebbe aspettato da un gruppo italiano. Complimenti!” 
Nerdsattack!

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